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«L’inimmaginabile è diventato possibile.»
Nessun paese influenza gli avvenimenti politici ed economici mondiali come gli Stati Uniti d’America. Sia per questioni di sicurezza globale, di ordine commerciale internazionale o del ruolo del dollaro USA come valuta di riferimento, le decisioni prese da Washington hanno conseguenze di vasta portata. Ma oggi gli Stati Uniti sono all’altezza di questo ruolo leader? Quali sfide si pongono a livello di politica interna ed estera e cosa significa tutto ciò per l’ordine mondiale di domani? Parliamo con la prof.ssa dr.ssa Stefanie Walter, economista politica all’Università di Zurigo e rinomata esperta di relazioni internazionali e dinamiche di politica economica. Nell’intervista fa il punto della situazione attuale e spiega perché, malgrado la crescente concorrenza cinese e le tensioni politiche interne, gli Stati Uniti svolgono un ruolo chiave nella struttura di potere globale.
«Se gli Stati Uniti mantengono la loro rotta attuale, la loro influenza globale diminuirà nel lungo periodo, anche se questo processo avverrà lentamente.»
Prof.ssa Dr.ssa Stefanie Walter

Testo: Jeannine Mülbrecht Foto: Ethan Oelman
Professoressa Walter, la situazione geopolitica resta tesa: guerre, incertezza economica, sconvolgimenti di potere. Anche i nuovi dazi creano inquietudine. Quale ruolo svolgono attualmente gli Stati Uniti nel contesto globale e quanto è salda Washington al volante?
Gli Stati Uniti restano una superpotenza, sono tuttora la nazione più potente del mondo. Tali rapporti di potere non cambiano da un giorno all’altro. Ma stiamo vivendo una fase in cui l’ordine globale cambia sensibilmente: la Cina, i mercati emergenti e il Sud del mondo stanno diventando sempre più influenti. Negli stessi Stati Uniti, questa relativa perdita di potere sta causando sempre più tensioni politiche interne. Le rotture radicali nella politica estera americana dell’amministrazione Trump rafforzano questo cambiamento. Se gli Stati Uniti mantengono la loro rotta attuale, la loro influenza globale diminuirà nel lungo periodo, anche se questo processo avverrà lentamente.
Con Donald Trump in carica si discute nuovamente dell’affidabilità degli Stati Uniti come partner internazionale. Quanta continuità in politica estera possiamo aspettarci e dove incombe il rischio di rotture?
Ci sono alcuni aspetti di continuità, come le critiche di lunga data alle spese europee per la difesa o l’orientamento strategico verso la Cina. Ma la situazione è cambiata drasticamente sotto Donald Trump, così come i rapporti con le istituzioni internazionali. La volontà di mettere in discussione o addirittura scardinare gli ordini stabiliti è nuova e radicale. Che si tratti della NATO, dell’OMC o dell’ordine mondiale liberale nel suo complesso, gli Stati Uniti agiscono sempre più unilateralmente. Questo ha un impatto enorme sulla fiducia degli altri Stati. Nemmeno un cambio di governo democratico sanerebbe completamente questa perdita di fiducia.
Come sta cambiando il rapporto degli Stati Uniti con l’Europa e quali potrebbero essere le conseguenze per la cooperazione economica, ma anche per le alleanze in materia di politica di sicurezza?
Le relazioni transatlantiche sono state salde per decenni, dal punto di vista economico, politico e dei valori. Ma oggi emergono differenze fondamentali: nella politica commerciale, nelle questioni di politica di sicurezza e, non da ultimo, nella comprensione dei valori. Particolarmente critico è il fatto che l’Europa non possa più fare affidamento sull’impegno degli Stati Uniti in materia di politica di sicurezza. L’idea che gli Stati Uniti non corressero in aiuto di un membro europeo della NATO sotto attacco era impensabile in passato. Oggi è reale. Questa incertezza costringe l’Europa ad assumere una posizione più indipendente, sia dal punto di vista della politica di sicurezza che da quello economico.

Il mercato finanziario globale reagisce in modo sensibile agli sviluppi politici. Secondo lei, quali decisioni di politica economica degli Stati Uniti hanno la maggiore rilevanza internazionale?
Attualmente il maggiore fattore di incertezza sono i dazi USA. Non solo generano turbolenze economiche dirette, ma determinano soprattutto un’enorme volatilità. A ciò si aggiunge il rischio di una recessione e di un’inflazione persistente negli Stati Uniti. Anche la deregolamentazione del sistema finanziario e le possibili perdite di gettito fiscale dovute allo smantellamento delle autorità di controllo statali sono preoccupanti. Se la fiducia nel dollaro o nei titoli di Stato statunitensi iniziasse a sgretolarsi, anche i flussi finanziari internazionali potrebbero riorientarsi, con conseguenze di vasta portata.
Quali effetti potrebbe avere una politica commerciale statunitense di stampo nazionalistico sul flusso internazionale di merci e capitali, in particolare per i paesi orientati all’export come la Svizzera?
Le economie nazionali piccole e aperte come la Svizzera sono particolarmente vulnerabili alle misure protezionistiche. I dazi statunitensi o le contromisure di altri Stati possono generare rapidamente un «effetto Ripple», cioè reazioni a catena. Un esempio: durante il primo mandato di Trump, i dazi sull’acciaio cinese hanno determinato un eccesso di offerta in Europa. Come misura di protezione, l’UE ha reagito con contingenti per le importazioni di acciaio, con conseguenze negative anche per l’industria svizzera. Se il sistema commerciale mondiale basato su regole si erode ulteriormente, la Svizzera, in quanto paese dipendente dalle esportazioni, rischia di trovarsi di fronte a un problema strutturale.
Quali rischi e opportunità comporta l’attuale politica statunitense per l’economia finanziaria e delle esportazioni svizzera?
Dal mio punto di vista ci sono tre rischi principali: in primo luogo il possibile disfacimento del sistema commerciale mondiale basato su regole; in secondo luogo l’instabilità della politica di sicurezza, che può colpire direttamente anche la Svizzera, ad esempio a causa dei cyber-rischi informatici; e in terzo luogo il sempre più difficile equilibrio tra Stati Uniti, Europa e Cina. In un mondo sempre più frammentato in blocchi di potere, per la Svizzera, in quanto paese neutrale, diventa sempre più difficile mantenere la propria posizione.
Noi, come società, abbiamo l’opportunità di imparare ad apprezzare maggiormente il valore della cooperazione internazionale e della disponibilità al compromesso. Forse proprio questa esperienza ci riporterà a un rapporto più realistico, ma anche più responsabile, con i nostri partner, non da ultimo in Europa.
La concorrenza sistemica tra Stati Uniti e Cina caratterizza molti dibattiti globali. Quanto è stabile questo rapporto di tensione e qual è il ruolo dell’Europa in questo contesto?
Spostamenti di potere come quelli tra Stati Uniti e Cina raramente si svolgono senza conflitti. L’ascesa della Cina e del Sud del mondo è una tendenza strutturale, indipendentemente da chi governa negli Stati Uniti. La questione centrale è se questo cambiamento sarà gestito in modo collaborativo o conflittuale. L’Europa si trova in un ruolo ambivalente: economicamente forte, ma piuttosto debole dal punto di vista della politica di sicurezza. Ciò costringe l’UE – e quindi indirettamente anche la Svizzera – a un riorientamento strategico. L’automatismo finora adottato, secondo cui gli Stati Uniti sono il partner più affidabile, viene sempre più messo in discussione.

Scheda prof.ssa dr.ssa Stefanie Walter
Funzione: professoressa ordinaria di relazioni internazionali ed economia politica presso l’Istituto di scienze politiche e co-direttrice del Centro di competenza crisi dell’Università di Zurigo.
Classe: 1977
Famiglia: sposata, due figli
Formazione: studi di scienza dell’amministrazione a Costanza, Montréal e Barcellona (1996 – 2003); dottorato presso il Politecnico federale di Zurigo sull’economia politica delle crisi monetarie (2007); incarichi di post-dottorato come assistente capo all’Università di Zurigo (2007 – 2008) e come Fritz-Thyssen-Fellow presso l’Università di Harvard (2008 – 2009); professoressa junior di economia politica internazionale e comparata presso l’Istituto di scienze politiche dell’Università di Heidelberg (2009 – 2013); da settembre 2013 professoressa ordinaria di relazioni internazionali ed economia politica presso l’Università di Zurigo.
Lei si occupa di crisi economiche e populismo. Cosa indica la rielezione di Trump riguardo al clima politico interno negli Stati Uniti e alla fiducia nelle istituzioni internazionali?
Oggi gli Stati Uniti sono profondamente divisi. Democratici e repubblicani vivono in parte in realtà parallele, con media, narrazioni e verità proprie. Questa sfiducia mina la cultura democratica. A ciò si aggiunge l’influenza del denaro sulla politica, che indebolisce ulteriormente la legittimità del sistema. Il successo di Trump dimostra anche che i cambiamenti a livello normativo, ad esempio nell’approccio con la giustizia, i media o la Costituzione, sono sostenuti da una parte della popolazione. La fiducia nelle istituzioni – sia nazionali che internazionali – e la loro stabilità ne risentono enormemente.
La Federal Reserve statunitense, il dollaro e il settore finanziario americano caratterizzano i mercati globali. In che misura gli Stati Uniti rimangono economicamente «indispensabili» e dove si manifesta la dipendenza?
Il dollaro resta la valuta di riferimento e il mercato finanziario statunitense è estremamente influente. Tali sistemi non cambiano facilmente perché gli effetti di rete li stabilizzano. Ma questa stabilità si basa sulla fiducia: nello stato di diritto, nella solvibilità degli Stati Uniti, nell’indipendenza della banca centrale statunitense, la Federal Reserve. Se questa fiducia viene gravemente scossa da interventi politici o decisioni erratiche, il sistema può finire sotto pressione. Il dollaro non ha ancora rivali, ma non è detto che la situazione resti così per sempre.
Azzardando una previsione, quali tendenze globali – politiche ed economiche – dovremo tenere particolarmente d’occhio se vogliamo comprendere il ruolo degli Stati Uniti?
La parola chiave dei prossimi anni sarà «Incertezza»: nella politica interna USA, nell’ordine internazionale, nella politica economica e commerciale. Allo stesso tempo, assistiamo alla normalizzazione dell’inimmaginabile. Ciò che un tempo era impensabile – ad esempio un ritiro degli Stati Uniti dalla NATO o l’annessione di territori stranieri – oggi non è più da escludere. Per l’Europa e la Svizzera ciò significa osservare, diversificare e posizionarsi in modo più indipendente. Perché il prezzo di una fiducia cieca potrebbe essere alto in futuro. ■